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Tullio Kezich: Sordi, quella faccia del cinema che nascose se stesso
Tratto da “il Corriere della Sera”, 26 febbraio 2003
 
Era talmente vero che oggi, nella prospettiva d’un tratto divenuta storica per la dolorosa dipartita di questo gigante dello spettacolo, nel travolgente coro dei media in cui si mescolano rimpianto e ammirazione, nello sgomento che va esprimendo il popolo di Roma come per la perdita d’un parente stretto, la centralità e la gloria di Sordi appaiono trionfanti. E’ curioso ricordare quanto, nonostante la notorietà radiofonica di Alberto, i suoi esordi al cinema furono stentati. Tra i pochi convinti di avere davanti un grande talento, Vittorio De Sica girò per lui (senza firmare) Mamma mia, che impressione! e fu un disastro. A una delle tappe successive, I vitelloni di Fellini, dai manifesti fu addirittura cancellato il nome di Sordi per timore che mettesse in fuga il pubblico. Ma bastò il «gesto dell’ombrello» e la battutaccia che l’accompagnava («Lavoratori...») a imporre di colpo il nostro come il nuovo principe dei dissacratori; e ad affermare la chiave grottesca e irresistibile di una lunghissima serie d’incarnazioni. In cui nell’irrinunciabile costanza della comicità s’inserirono presto temi e figure di spessore inquietante.
Pensiamo all’antieroe di La Grande guerra che affronta intrepido la fucilazione gridando «Sono un vigliacco»; o al giornalista che sembra in vendita, ma in sostanza è irriducibile, di Una vita difficile ; o a Il mafioso che va e uccide senza chiedere il perché; o a Il medico della mutua canagliesco e imbroglione; o al piazzista di armi in Africa che si giustifica in Finché c’è guerra c’è speranza dicendo «Ho famiglia»; o a Un borghese piccolo piccolo che si gusta la sua atroce vendetta torturando l’uccisore del figlio; o a quel giudice istruttore che anticipando «Mani pulite» tira diritto all’insegna del Tutti dentro.
Spulciando nelle decine e decine di film di Alberto Sordi (inclusa una ventina di opere firmate da lui, con risultati tutt’altro che disprezzabili) ci sarebbe molto da citare. E l’ha fatto lui stesso nell’antologia Storia di un italiano allestita per la tv, una sfilata di figure che rappresentano il nostro Paese soprattutto nel male. A Dino De Laurentiis capita spesso di deplorare che Sordi non abbia fatto lo sforzo d’imparare l’inglese: «Fosse stato English speaking - assicura il produttore - avrei fatto di lui il più grande attore del mondo». Si potrebbe tuttavia affermare che Sordi non volle imparare neppure l’italiano ovvero la lingua corretta, con le vocali aperte e chiuse, che pretendevano d’imporgli alla scuola di recitazione. Pur senza restare nei limiti dell’attore dialettale, in un’esigenza assoluta di naturalezza, Alberto si tenne attaccato alla lingua che aveva sempre parlato in casa e nel quartiere, a quelle intonazioni, a quei ritmi, sostenuti da una strepitosa vena umoristica. Nel suo assumere e contraffare i modelli della vita si potrebbe definirlo un sublime caricaturista, ma nel senso in cui lo si dice di Lautrec o di Grosz.
E’ stato un uomo segreto, vissuto in mezzo a inesplicabili contraddizioni. Aggressivo nelle satire cinematografiche, in politica era un moderato. Notoriamente avaro nelle piccole spese, ha profuso cifre enormi in beneficenza. Amante del gentil sesso, ha rinunciato a farsi una famiglia preferendo vivere in simbiosi con le sorelle e il fratello. E non è stato possibile attribuirgli con fondatezza legami sentimentali. Ci fu un momento in cui i giornali scrissero che era infatuato di Silvana Mangano, amica e compagna in parecchi film, ma lui fu pronto a buttare la cosa in ridere. Servitore del pubblico a tempo pieno, tra interviste e apparizioni promozionali, a conti fatti, della sua vita privata non ha mai raccontato niente. Lo ricordo spaventatissimo in una trasferta milanese, nel 1967, per presentare la biografia che aveva scritto su di lui Grazia Livi. Aveva il timore, sulle incalzanti curiosità della giornalista, di essersi scoperto troppo. Ma la preoccupazione risultò fuori luogo, perché anche in quel frangente il vero Sordi riuscì a nascondersi, come sempre, dietro il suo personaggio.
 
 
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