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Michele
Prisco nacque a Torre
Annunziata. Esordì nell'immediato dopoguerra cominciando a collaborare al
"Risorgimento" diretto da Corrado Alvaro e alla terza pagina del
"Nuovo Corriere" di Romano Bilenchi. Ha pubblicato: La provincia
addormentata(1949) Gli eredi del vento (1950), Figli difficili (1954) Fuochi
a mare (1957) La dama di piazza (1961) Punto franco (1965) Una spirale di
nebbia (1966) I cieli della sera (1970) Gli ermellini neri (1975) Il colore
del cristallo (1977) Le
parole del silenzio (1981), Lo specchio cieco(1985), Il pellicano di pietra.
Le sue opere sono tradotte nei principali paesi europei ed extraeuropei. Ha vinto nel 1950 il Premio Venezia per gli inediti, nel 1966 il Premio Strega, nel 1971 il Premio Napoli,il Premio Fiuggi, nel 1985 E' stato critico cinematografico de "Il Mattino"; critico letterario di "Oggi" Il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi ha espresso il proprio cordoglio: «Scompare con Michele Prisco uno degli autori stilisticamente più raffinati e rappresentativi del '900 italiano. Ha saputo descrivere con rara maestria e introspezione psicologica i personaggi, gli ambienti e le atmosfere di Napoli. Vincitore di prestigiosi premi nazionali e internazionali è rimasto fedele al suo ritratto di scrittore pacato e riservato, rinnovando con originale talento e straordinario impegno la nobile e colta tradizione letteraria e narrativa meridionale» |
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Scrisse di lui Mario Pomilio in un saggio critico "Si può dire che l'ideale di Michele Prisco non è la diacronia, bensì la sincronia o, meglio ancora la sinossi. La sua inventiva strutturale non muove affatto in senso lineare, in base alle esigenze del prima e del poi, ma piuttosto, si direbbe in senso spaziale, in cerca di convergenze tra punti assai distanti. Si può dire che la prosa di Prisco assomiglia a una spirale,a un movimento avvolgente che, lungi dal mirare a una messa a nudo dell'evento, aspira come a catturare la qualità multiforme dell'istante in cui esso si verifica, sensazioni e sentimenti insieme, luci e ombreggiature, sonorità e dissolvenze. Ogni sua pagina sembra percorsa da nascoste interferenze, è ammorbidita da incisi infiniti che non sembrano lasciare nulla di intentato per farci percepire le misteriose sincronie del reale a tutta durata, il combinarsie il sovrapporsi degli stati di coscienza, il loro simuntaneo inserire l'uno nell'altro per entro l'unità quantitativa del reale. Se potessimo darcene una rappresentazione grafica, la prosa di Prisco farebbe pensare a una partitura"... " I I suoi romanzi più tipici, quelli che meglio lo rappresentano non sono, a conti fatti, se non altrettanto sinossi della memoria. Ingannevoli sinossi! All'interno di esse, come in un gioco speculare, i personaggi di Prisco si manifestano o si confessano, si riesaminano oppure si recitano alla presumibile ricerca della propria verità. Ma la verità dei personaggi appartengono, si sa, all'autore e in ultima analisi al lettore. Per quel che riguarda, passate come sono attraverso la logica deformante del ricordo , le loro verifiche assomigliano a un autoinganno, non approdano il più delle volte a una fenomenologia dell'ambiguità. Un tema ulteriore, chi volesse interrogarsi ancora sull'antinaturalismo di Prisco; e magari, a questo punto, sul suo stesso moralismo". | ||||
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