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Giorgio del Re ha intervistato Cossiga per Sette del Corriere della Sera | |||
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Presidente, posso iniziare da una domanda indiscreta e molto personale? «Quale?».
È vera la leggenda che i capelli grigi le diventarono bianchi, in una notte, per l'angoscia del sequestro? «In una notte è una leggenda. Certo si accelerò quel processo».
Che effetto le fa questo Bellocchio, venticinque anni dopo? «Confesso, ho guardato il film con qualche prevenzione, temevo la solita ricostruzione dietrologica e priva di valore... ».
E invece? «È un bel film. Lo dico anche forte della conoscenza di un vecchio amico, Franco Mauri, che nel 1940 scrisse da appassionato cinefilo un saggio sul realismo nel cinema sovietico».
Franco Mauri il suo discepolo trentenne? «No, lo zio».
Quindi il film le piace... «C'è del mestiere, nel senso alto del termine: l'arte senza l'artigianato non esiste. Naturalmente, si muove dalla realtà per creare un'altra storia e poi...».
E poi? «Ho scoperto un'attrice straordinaria, Maya Sansa, grande interpretazione: non la conoscevo. Conosco invece la Braghetti, che ho incontrato quando venne da me a perorare - e le credetti - la causa dell'innocenza della Mambro e di Fioravanti. Non mi parlò delle loro cose, forse perché sapeva come la pensavo».
È vero che lei ha conosciuto tre dei carcerieri di Moro? «Sì, sono uomini e donne, e questo rende ancora più drammatico quello che è avvenuto. Si è detto che Bellocchio ha messo le Br sul lettino della psicanalisi: penso piuttosto che lui, da ex ragazzo maoista, abbia proiettato molto se stesso nel film. Le Br sono come lui vorrebbe che fossero state, e la vicenda finisce come lui avrebbe voluto che finisse. Con i brigatisti che mostrano la loro potenza nel sequestro, e alla fine del processo di umanizzazione innescato dalla vicenda rilasciano Moro. In questo c'è più di un desiderio...».
Ovvero? «Credo che Bellocchio sia più figlio del '68 che del '77. La critica che gli faccio è di non rendere fino in fondo la drammaticità dell'evento. Ma lo fa per un motivo preciso: il '68 fu fondamentalmente un movimento di ribellione borghese, di cui non a caso i due leader principali erano Marcuse, che non trovò nulla di sconveniente nel fare uno studio sul movimento per conto della Cia, e un uomo come Adorno, che aveva ucciso la moglie...».
Quindi secondo lei Bellocchio sovrappone date età diverse? «Ma certo. Non capisce che il '77 e il brigatismo, invece, furono una rivoluzione, velleitaria forse, ma nata da radici storiche, sociali e culturali ben più profonde: era il vero frutto della guerra fredda, erano i nipotini di Yalta, come dimostra bene la sequenza del canto partigiano alla commemorazione del padre della terrorista. Le loro radici erano nel mito della Resistenza tradita, la terza Resistenza che sognava la lotta di classe, e fu soppiantata dalla guerra di Liberazione e dalla guerra partigiana». |
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C'è anche il comizio di Lama, però, in cui i brigatisti sono contrapposti ai partigiani, dal Pci... «Era un modo per difendere la sinistra dal coinvolgimento. Anche noi abbiamo usato le armi della manipolazione politica per mantenere consenso: e a questo fine era più facile chiamarli assassini che rivoluzionari. Oggi in fondo le cose sono molto più grossolane: Berlusconi è un Duce e i comunisti mangiano i bambini...».
Non è che si sta ricredendo sulla fermezza? «No! Io resto fermo, nonostante l'Unità, che allora fu colonna della fermezza e che ora, come scrive Francesco Merlo, inspiegabilmente diventa trattativista!».
Battutaccia... «No, verità. Quell'articolo mi ha colpito: non condivido solo la parte sulla Faranda, perché non credo che debba tacere, non credo alla dannazione dei colpevoli. Morucci e Faranda hanno passato un travaglio autentico che io conosco. E poi ci sarebbero molti altri in Italia, allora, che avrebbero dovuto tacere. I Ds...».
Si prepara un'altra stilettata delle sue? «...Avendo letto il bel libro di Piero Fassino mi rendo conto che gli ex comunisti sono ormai preda di un revisionismo così profondo che presto cancelleranno Berlinguer: per questo non hanno difficoltà a cancellare la fermezza. E non è nemmeno un caso che oggi i Ds si incontrino con Prodi, trattativista di ieri».
Ahi, ahi, quando lei cita quel nome... «No, perché? Anzi, le dico che una caduta di stile il film ce l'ha quando racconta la seduta spiritica in cui c'era Prodi, e in cui Bellocchio mette un agente dei servizi, che se tale fosse stato, non sarebbe andato in divisa da colonnello! Prodi...».
Sempre a lui ritorna... «Solo per dire che è prova della sua forza il fatto che per quell'episodio egli non fu mai interrogato da nessuna commissione e nessun magistrato: e dire che fu lui a passare questa notizia a Cavina, che poi la disse al mio capo-gabinetto, Zanda».
Le Br: perché lei dice che il film spiega la loro sconfitta? «Perché non si accorsero di avere vinto: ma la parola fine alla solidarietà nazionale la scrissero loro. È la non compiutezza della solidarietà nazionale che impedisce il vero bipolarismo e che porta ancora oggi a una visione della politica come lotta tra bene e male».
Quindi le Br non capirono di essere a un passo dalla vittoria finale? «Sì, e l'avrebbero avuta perché io e Andreotti saremmo finiti in minoranza. Poi non hanno capito che Moro libero avrebbe avuto effetti altrettanto dirompenti: io sono stato costretto a raccontare che Pecchioli venne da me a dire, dopo la lettera che mi mandò: "Per noi è politicamente morto". Malgrado ciò, noi li abbiamo sconfitti militarmente».
E il dibattito sul fatto che forse i brigatisti si potevano prendere? «All'epoca del sequestro i servizi erano quasi smantellati: solo dopo appresi che qualcuno aveva contatti con le Br...».
Signorile? «...Una parte del Psi. Se loro ce lo avessero detto, forse saremmo arrivati a Moro vivo».
E il fatto che ci fosse un pezzo di Stato che lavorava contro la liberazione? «Fesserie».
E l'influenza della P2? «No... Vada da Licio Gelli e gli chieda cosa pensava di Moro».
È vero che quella frase sulle lettere di Moro, «moralmente inautentiche», la scrisse lei e la disse Andreotti? «Sì: allora gli psichiatri del ministero avevano questa tesi, Scoppola lo pensa tuttora...».
E lei? «Mi sono convinto di avere sbagliato. Quello era davvero Moro. Tentò fino all'ultimo di trattare con le Br, aveva capito fino in fondo il fatto che le Br erano un soggetto politico, e puntavano a un riconoscimento. Io non avevo capito fino in fondo che loro erano l'album di famiglia della sinistra, lui sì. Non dimentichiamo che solo Giampaolo Pansa ebbe il fegato di andare ai cancelli della Fiat e scrivere in un pezzo che a molti operai non gliene fregava nulla di Moro».
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Per questo l'idea brigatista della «propaganda armata» aveva spazio? «Senza il Pci e senza la fermezza sarebbe passata senz'altro».
E cercare di salvarsi per Moro fu vigliaccheria, come pensarono molti? «No. Io ho riletto le sue lettere infinite volte e ho capito la nostra diversità. Io ero un cattolico liberale e mettevo sopra tutto lo Stato. Lui era un cattolico sociale, e per lui la vita di suo nipote valeva più di ogni altra cosa. Andreotti aveva l'etica politica della Chiesa, che mai e poi mai avrebbe accettato la malvagità dell'atto violento».
Ma lei mi ha detto che era disposto a pagare! «Pagare sì: mi dissero che avevano già trovato i soldi, ma era quasi una forma di disprezzo: il canale di contatto veniva dai cappellani carcerari e dalle confessioni, per questo è rimasto segreto. Ma riconoscere no».
Eppure lei pensa che la trattativa non poteva riuscire? «Oggi so che le Br non avrebbero mai accettato un riscatto». |
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